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Non dobbiamo avere paura dell’eccezionalità

Non dobbiamo avere paura dell’eccezionalità

La tecnologia sta risalendo la curva della specializzazione. Dove può arrivare la progressiva trasformazione dell’“intelligenza artificiale” in “intelligenza”?

Per imparare a formulare una diagnosi medica sono tradizionalmente necessari anni. Anche per i professionisti, la formulazione di una diagnosi è spesso un processo lungo e complesso. Per di più, in molte aree la domanda di queste competenze supera l’offerta, mettendo sotto pressione il sistema sanitario. Tuttavia, laddove è possibile digitalizzare le informazioni diagnostiche, le macchine possono contribuire ad alleviarne l’onere. Il vantaggio di un algoritmo è che può trarre conclusioni dai dati in una frazione di secondo. Inoltre, a differenza di un esperto in “carne e ossa”, le competenze di machine learning (ML) possono teoricamente essere riprodotte all’infinito. 

Lungi dal sostituire le mansioni a bassa specializzazione negli stabilimenti automobilistici o nei call centre, l’intelligenza artificiale (AI) sta rimodulando il ruolo di medici e di molti altri professionisti. L’impatto sarà profondo. 

Robert Troy, Minister for Trade Promotion, Digital and Company Regulation della Repubblica d’Irlanda, è ottimista circa la generale capacità dell’AI di trasformare la società: “A livello globale, si stima che l’applicazione dell’AI possa raddoppiare la crescita economica entro il 2035. L’AI è usata anche per risolvere complesse problematiche sociali, come il cambiamento climatico, l’assistenza sanitaria e la povertà alimentare”.

L’AI è usata anche per risolvere complesse problematiche sociali, come il cambiamento climatico, l’assistenza sanitaria e la povertà alimentare.

Robert Troy, Ireland’s minister for trade promotion, digital and company regulation

Kevin Roose, editorialista di The New York Times esperto di tecnologia, ritiene che l’AI possa modificare il lavoro verso tre scenari primari: “Nel primo si pronostica una soppressione di posti di lavoro, ed è quello cui di norma pensiamo quando si parla di automazione”, aggiunge inoltre che ciò “accade in una serie di settori più ampia rispetto a quanto tradizionalmente avvenuto in passato” interessando anche i ruoli impiegatizi. Il secondo scenario prevede che le funzioni manageriali verranno soppiantate: “Ora esiste un’intera area di software dedicata alla sorveglianza della forza lavoro e al monitoraggio delle performance, in alcuni casi in grado anche di prendere automaticamente decisioni circa assunzioni e licenziamenti”.

Il terzo è quello definito automazione dell’ambiente interno: “Ogni giorno interagiamo con decine di strumenti di AI, che forgiano le nostre decisioni e preferenze, i nostri valori e rapporti“ afferma “in pratica gran parte delle nostre scelte  ̶  dai programmi televisivi che guardiamo, ai politici per cui votiamo ̶   sono modulate in sottofondo dall’AI”.

Il “curatore dati” e AI creativa

A questo punto che ne è del lavoro, nella sua concezione tradizionale? Due secoli fa, i ludditi inglesi distruggevano i macchinari introdotti dalla prima rivoluzione industriale per combattere quelli che ritenevano strumenti di sostituzione dei lavori manuali. Alcuni esperti ritengono che l’AI soppianterà il 40% dei posti di lavoro entro 15 anni: tali timori alla fine si concretizzeranno?

“Non proprio”, sostiene Rober Troy, in quanto “gran parte della rivoluzione causata dall’AI si tradurrà in cambiamenti di ruoli, compiti e distribuzione del lavoro”. Per esempio, il medico non sarà necessariamente sostituito da un robot. Secondo un recente studio pubblicato su PeerJ, “i sistemi basati su AI porteranno a un aumento di medici ed è improbabile che possano sostituire la tradizionale relazione medico-paziente”,

Marcus du Sautoy, Oxford Simonyi Professor for the Public Understanding of Science, concorda con Robert Troy: “Assisteremo all’ingresso dell’AI in un numero crescente di mansioni impiegatizie. Ma, come in tutte queste rivoluzioni, emergeranno nuovi lavori.”

Global private investment in AI by focus area (total investment, millions US$)
Global private investment in AI by focus area (total investment, millions US$)
Source: CapIQ, Crunchbase & Netbase Quid, 2020

Le capacità delle macchine possono migliorare le doti umane, non limitarle. Il Professor du Sautoy porta come esempio la figura del curatore dati, definendolo “quasi un nuovo tipo di artista”. “Gli algoritmi imparano dai dati”, sostiene, “se vengono forniti determinati dati l’algoritmo va in una direzione, ma se ne vengono forniti altri, potrebbero andare nella direzione opposta. È quindi necessario riuscire a comprendere questo percorso e come modellarlo per far sì che ci conduca dove vogliamo. Questo tipo di attitudine è destinato a costituire una nuova categoria di competenza.”

Un’altra area creativa in cui l’AI si sta ritagliando un ruolo è la “musica elettronica” cui sta attribuendo una nuova accezione. “Ci rendiamo conto che l’AI sta trasformando ogni settore, dalla terapia, all’arte e alla musica, rivoluzionando l’attività lavorativa”, afferma il Professor du Sautoy, riportando l’esempio di Jukedeck, uno strumento di composizione musicale AI: “Gli spieghi cosa vuoi in una canzone, il mood, la durata, la chiave e Jukedeck compone la musica, generando la registrazione.”

“L’AI ha aiutato a comporre musica e poesie e riprodotto gli stili di grandi pittori”, sostiene Rober Troy, aggiungendo però che “al momento l’AI svolge in prevalenza un ruolo di assistente, anziché sostituirsi al genio umano.”

Pensavamo che l’unica cosa che ci sarebbe stata lasciata fosse comporre sinfonie, o scrivere romanzi, e ora l’AI riesce invece a fare anche quello.

Marcus du Sautoy, Simonyi Professor for the Public Understanding of Science, University of Oxford

Il Professor du Sautoy prosegue: “Pensavamo che l’unica cosa che ci sarebbe stata lasciata fosse comporre sinfonie, o scrivere romanzi, e ora l’AI riesce invece a fare anche quello.” Ritiene però che ciò abbia un aspetto positivo: “Molte persone hanno una certa paura della creatività, ma grazie all’AI anche loro potranno cimentarsi a scrivere un romanzo o dipingere un quadro. Vi è un aspetto alquanto entusiasmante della capacità di questi strumenti di rendere democratico qualcosa che un tempo era un’attività piuttosto elitaria.” L’AI scaccia la paura della pagina bianca. È un’idea affascinante. 

Anche la maggior parte dei creativi sostiene di dedicare più della metà del proprio tempo a compiti banali. ML e AI sono potenzialmente in grado di liberarli da queste incombenze.

Verso un’economia a due livelli?

Kevin Roose prevede l’avvento di un’economia a due livelli: economia delle macchine ed economia dell’uomo. I prodotti della prima avranno prezzi estremamente bassi; afferma, infatti, che “l’AI consentirà a chi gestisce le aziende in questione di eliminare tutte le inefficienze e gli sprechi”.

Per contro, l’economia dell’uomo comprenderà persone che anziché produrre beni e fornire servizi creano emozioni ed esperienze, come per esempio gli operatori della sanità, gli insegnanti e gli artisti. Tuttavia aggiunge che “anche alcune figure che tendiamo a ritenere insostituibili, come baristi e assistenti di volo, hanno un futuro luminoso perché tali lavori non consistono solo nell’offrire da bere ai passeggeri su un areo, ma principalmente nel farli sentire a loro agio.”

Ritiene inoltre che ciò indurrà le aziende tecnologiche hyper-scale a realizzare in misura crescente versioni di fascia più alta dei loro servizi: ad esempio, una versione di lusso di Netflix, dove i curatori di film scelgono il film per l’utente. “Tali aziende proporranno servizi su più livelli, oltre a quello base, per i quali gli utenti pagheranno l’interazione umana.” Secondo le sue previsioni, nascerà una nuova generazione di aziende che porteranno i rapporti umani all’essenza, ma senza disumanizzarsi.

Questo significa che i “leviatani della tecnologia” domineranno tutto? Il Professor du Sautoy non è di questo parere, ma ritiene che sia necessario attuare alcuni cambiamenti per assicurare una possibilità a tutti. “Non c’è bisogno di enormi aziende per analizzare questi dati”, dichiara. “Si tratta di avere algoritmi intelligenti per ricercare i dati, consentendo agli operatori minori di entrare in gioco.”

“Tuttavia”, avverte, “se non si ha accesso ai dati, francamente si è del tutto fuori gioco.” Vi sono già avvisaglie di questi dati open source: per esempio, le normative in materia di open banking che costringono le grandi banche a condividere i dati finanziari relativi ai loro clienti. Ciò ha portato all’affermazione di imprese disruptive sul fronte fintech quali le cosiddette challenger bank britanniche Starling e Monzo, ciascuna delle quali ora vale oltre 1 miliardo di sterline.

Dovrebbe esistere una sorta di “bacino di dati condiviso” per incoraggiare la concorrenza settoriale in un contesto AI?

  • Sì, allo scopo di evitare che un numero ridotto di grandi aziende abbia una posizione dominante, i dati devono essere liberamente disponibili a nuovi entranti e operatori disruptivi.
  • No, i dati sono il prodotto dello sviluppo creativo delle aziende e costituiscono quindi parte integrante della loro proprietà intellettuale. Renderli liberamente accessibili, in pratica scoraggerebbe gli investimenti